L’ictus, secondo le ultime analisi, conta in Italia circa 200.000 casi l’anno e si attesta come seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. È un disturbo della circolazione del sangue nel cervello, quando si verifica un’area cerebrale non viene irrorata e di conseguenza subisce danni. Maggiore è il tempo di questa interruzione, maggiori saranno i danni riportati.
Esistono due tipologie di ictus: l’ictus ischemico si verifica quando un trombo, un coagulo di sangue, occlude un’arteria del cervello impedendo il regolare flusso circolatorio; l’ictus emorragico avviene quando si rompe un’arteria cerebrale, il sangue fuoriesce e causa un ematoma che danneggia o uccide i neuroni circostanti.
Mentre è definito TIA, l’attacco ischemico transitorio, che si verifica quando un piccolo grumo solido di sangue, un restringimento dei vasi interrompe o riduce il passaggio di sangue e ossigeno al cervello. Si tratta però di un’interruzione temporanea, che dura poco e generalmente non provoca danni permanenti. Può anche succedere così, che un TIA venga rilevato solo per caso da una risonanza magnetica: si vedono delle piccole cicatrici, che altro non sono che micro attacchi ischemici che non hanno prodotto dei sintomi, ma
vanno considerati campanelli d’allarme. A questo proposito la dottoressa Peci apre anche una piccola parentesi sulla presenza di acufeni, un disturbo uditivo che si manifesta come una sensazione acustica, un rumore che può essere legato ad una micro-ostruzione o restringimento dei vasi carotidei che portano il sangue verso le cortecce uditive.
La prevenzione dell’Ictus consiste principalmente nel condurre uno stile di vita con un corretto piano alimentare e un’adeguata attività sportiva, importante non solo a livello muscolare ma anche per l’apporto di ossigeno a livello cerebrale.
La gestione dell’evento è racchiusa in una parola: FAST. Oltre a significare “veloce” -ponendo così l’accento sulla questione “tempo” per sottolineare l'importanza della tempestività dell'intervento di fronte a sintomi di ictus- FAST è anche un acronimo, ed è la chiave per riconoscere l'ictus:
- F
sta per Face, faccia: si può chiedere alla persona di sorridere e vedere se la bocca risulta storta
- A
sta per Art, braccia: si può chiedere alla persona di sollevare un braccio e/o mantenerlo sollevato
- S
sta per Speech, linguaggio: si può chiedere alla persona di parlare ripetendo semplici frasi e valutare se il modo di esprimersi è strano o poco chiaro
- T sta per Time, tempo: se uno o più dei precedenti sintomi è visibile o se si ha un semplice sospetto, bisogna
chiamare subito i soccorsi.
Nell’attesa è utile mettere del ghiaccio sulla testa: serve a ridurre la fuoriuscita di sangue, quindi la capacità dei capillari.
Le conseguenze di un ictus, sia esso ischemico, sia emorragico, dipendono dalla parte del cervello che viene danneggiata. Se, ad esempio, si tratta del cervelletto ne potrà conseguire un disturbo di equilibrio, di orientamento, di percezione di sé stessi o incapacità di collegare e mettere in produzione una richiesta (aprassia).
Dopo un ictus, le problematiche più comuni sono di movimento per una paralisi degli arti di un lato del corpo, difficoltà di linguaggio o di pensiero.
Da protocollo dopo l’evento segue una degenza ospedaliera che di solito dura da 3 a 6 mesi, a cui seguirà la cosiddetta “gestione della cronicità”.
Il recupero delle funzionalità perse passa attraverso la riabilitazione fisioterapica, necessaria quando c’è una compromissione motoria (ma difficilmente un ictus non colpisce l’aspetto motorio); la riabilitazione logopedica, che aiuta a reimparare l’uso dei muscoli facciali, della lingua, la produzione delle lettere, la gestione della salivazione; e infine la riabilitazione neuropsicologica. L’ictus, indipendentemente dal tipo, deriva da un danno al cervello. È impensabile gestire le problematiche insorte senza coinvolgere la parte cerebrale.
È importante inoltre iniziare i percorsi di riabilitazione il prima possibile: più passerà tempo, più sarà difficile rientrare nel recupero delle funzioni e si consolideranno le problematiche. (Può accadere, ad esempio, che senza supporto si inneschi la cosiddetta “plasticità cerebrale maladattativa”: cioè si lascia che il cervello reimpari a modo suo, che è però un modo sbagliato).
Ottenere un miglioramento della qualità della vita oggi è possibile anche grazie alle nuove biotecnologie di
riabilitazione cerebrale. La stimolazione magnetica transcranica
e la stimolazione elettrica
non devono essere viste come qualcosa di invasivo. Abbiamo ereditato purtroppo un brutto retaggio su tutto quello che riguarda il cervello, invece le biotecnologie di riabilitazione cerebrale servono: abbiamo bisogno di supporto per il cervello esattamente come quando ci rompiamo un braccio abbiamo bisogno di un tutore.
È stato dimostrato che per la riabilitazione post-ictus è utile anche la
Fotobiomodulazione, una tecnica grazie
alla quale si allevia l’aspetto infiammatorio e si migliora l’aspetto metabolico, ripristinando l’apporto di sangue, e quindi di ossigeno, nelle aree che hanno subito un danno.
In uno studio pubblicato e portato avanti dalla dottoressa Peci emerge che in caso di afasia post-ictus, sottoporre i pazienti a sedute di stimolazione magnetica transcranica insieme al trattamento di riabilitazione logopedica e neuropsicologica porta a un miglioramento della capacità di linguaggio più rilevante rispetto a quello ottenuto con la sola logopedia. I pazienti sottoposti ad entrambi i trattamenti, emerge dalla ricerca, hanno attenuato i loro problemi di articolazione, aumentato fluidità nel linguaggio e migliorato la comprensione e l’accesso al lessico.
Le nuove strumentazioni di riabilitazione cerebrale aiutano a trovare strategie alternative, ad esempio nel caso di compromissione di un lato si sfrutta l’emisfero sano a favore di quello lesionato. Oggi sappiamo grazie alle Neuroscienze che un’area può imparare a svolgere un’altra funzione.
Le biotecnologie di riabilitazione cerebrale, infine, aiutano anche nella riduzione dello stress: quello che chiamiamo stress comunemente è la stessa cosa che accade all’interno dei neuroni, si chiama stress ossidativo, si ingloba nelle cellule e difficilmente questa, andando avanti con l’età, riesce a liberarsene da sola. Le metodiche sfruttate favoriscono questo rilascio a livello metabolico.